Musica
e partecipazione nella liturgia, di Giacomo Baroffio
(29 marzo 2006)
Giacomo Baroffio -
Dipartimento di Scienze musicologiche e paleografico-filologiche -
Facoltà di Musicologia - Università di Pavia - Cremona (CR)
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Articoli - Saggi
Proponiamo
un riassunto dell'ampio saggio di Baroffio
....
La storia della musica nella liturgia cristiana segna una tappa di un
lungo cammino iniziato nell'esperienza orante di Israele, quando si è
compreso che solo il linguaggio musicale era adeguato per trasmettere la
Parola di Dio nella celebrazione liturgica. Due i motivi principali: a)
un fatto puramente fisico esigito dalla necessità di far pervenire il
messaggio divino a una cerchia vasta di uditori presenti in uno spazio
ampio. La semplice pronuncia parlata in casi del genere non permette a
un discorso di raggiungere lunghe distanze. Il gridare ad alta voce
distorce i suoni e rende incomprensibile il messaggio. Di qui la
scoperta di un tono di voce che canta il parlato su una corda di recita
ricca di armonici che permettono alla voce stessa di correre e
raggiungere un vasto uditorio. b) un fatto di rilevanza spirituale: ogni
proclamazione è sempre anche un'interpretazione di quanto viene
annunciato. Il tono della voce, il mutare del timbro, la fluidità o
gravità nella pronuncia, il tono sommesso o forte sono tutte componenti
che a livello istintivo, in modo intuitivo e quasi sempre al di là di
un processo razionale voluto coscientemente, rivelano ciò che è
realmente percepito quale nucleo centrale del discorso che si pronuncia
o della parola che si legge.
Quest'ultima è forse la ragione principale per cui i nostri padri nella
vita liturgica di Israele hanno elaborato un sistema di proclamazione
della Parola di Dio - la cantillazione - che è costituito da una serie
di segmenti musicali con particolari caratteristiche atte a permettere
di identificare le grandi sezioni del pensiero e del discorso con cui
tale pensiero viene espresso.
....
Come hanno affermato i
padri della Chiesa, il Verbo di Dio è nato dal silenzio eterno del
Padre. La Parola nella liturgia esige di essere cantata, ma il suo
orizzonte vitale, il contesto che permette di risuonare e di essere un
fatto di fede è il silenzio della preghiera. Silenzio che - come diceva
Madeleine Delbrel - talvolta è tacere, è sempre ascoltare. La musica
nella liturgia -- a maggior ragione rispetto ad altre situazioni come
opere sinfoniche e corali, dove le pause hanno un significato che non sì
può mai sottovalutare - vive di silenzio, scaturisce dal silenzio che
nell'adorazione scava nel cuore lo spazio adeguato ad accogliere la
Parola. Parola e silenzio, silenzio e Parola in musica sono chiamati a
tessere nella liturgia un contrappunto armonico con momenti inalienabili
di un silenzio anche solo materiale che troppo spesso manca, rischiando
di banalizzare ogni aspetto della celebrazione.
....
In ogni epoca, per quanto ci è dato di conoscere a partire dall'età
carolingia, nel mondo della liturgia la musica, ma non solo essa, ha
trovato continuamente un fecondo equilibrio tra il patrimonio che le
veniva consegnato con rispetto e riverenza dal passato e le istanze
contemporanee. In ogni Chiesa locale la vita concreta della comunità
suggeriva a poeti e musici nuove espressioni capaci di cantare la fede
nel presente. Un equilibrio estremamente fecondo perché, mentre
preparava il cuore all'ascolto della Parola, dischiudeva la mente a
prospettive nuove, metteva la persona mistica della Chiesa in grado di
varcare la soglia del futuro. Passato, presente e futuro sono i tre poli
che da sempre autenticano il linguaggio musicale e poetico nella
celebrazione.
Omettere o limitare anche una sola di queste tre istanze significa
costruire sul vuoto: chi si abbarbica al passato chiudendosi al presente
è un archeologo nostalgico senza speranza, che non crede nel presente
perché fondamentalmente non ha fiducia in se stesso. Non ha il coraggio
del rischio, è convinto di sopravvivere scimmiottando il passato, come
se l'esperienza dei nostri predecessori valesse automaticamente per noi,
oggi, qui. Ogni esperienza è positiva soltanto a condizione che sia
vissuta in prima persona. Il passato senza presente è un sogno
fantastico. Confortante forse, ma è un sogno alienante e trascina fuori
della realtà.
Chi si illude di poter edificare il presente amputando il passato, di
solito brutalmente con vera foga iconoclasta, è come chi volesse
costruire un edificio senza fondamenta. L'immagine è eloquente, ma
purtroppo in campo musicale, e prima ancora, nel solco della tradizione
liturgica, spesso si è verificata. In parte tale atteggiamento è
dovuto semplicemente all'ignoranza delle cose, in parte perché si
intuisce che quanto si vuole costruire nel presente non regge il
paragone con il passato. Non sono certamente d'oro tutto il canto
gregoriano e tutta la polifonia classica; ma di fronte ad autentiche
opere d'arte balza agli occhi in modo inequivocabile la miseria di tanta
produzione musicale odierna destinata alla liturgia, perché in altre
sedi non avrebbe accoglienza.
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Un primo problema di fondo nella vita musicale all'interno della
liturgia è ricuperare con rispetto e cognizione di causa l'equilibrio
tra passato, presente, futuro. Poi è assolutamente necessario
ricuperare il linguaggio musicale, dato che di fatto oggi la
celebrazione nella maggior parte dei casi è amusicale.
Le parti del presidente sono totalmente recitate: si pensi alle
orazioni, alla preghiera eucaristica. Anche la proclamazione del
Vangelo, che spetterebbe a un diacono, solitamente è parlata senza
nessuna modulazione. Gli interventi sporadici dell'assemblea sono
anch'essi recitati, spesso in modo disordinato.
Entrando in una chiesa
durante il servizio liturgico di solito non si ascolta nessun brano in
canto. Nel medioevo, al contrario, non c'era parola che non fosse
cantata, compresa la preghiera eucaristica.
....
Della situazione attuale la responsabilità non ricade
principalmente sulla pastorale liturgica ancorché in tante
parrocchie essa sia latitante o del tutto inesistente. La causa/colpa è
da attribuirsi piuttosto alla cultura diffusa del nostro tempo, un'epoca
che vede la fruizione passiva di molta musica - perlopiù riprodotta su
disco - mentre negli ultimi decenni è sensibilmente diminuito il fare
musica in modo attivo, vuoi con il canto, vuoi a livello strumentale.
Una situazione diffusa di analfabetismo musicale - si consideri,
ad esempio, la preparazione musicale totalmente insufficiente a livello
scolastico - peggiora notevolmente la condizione della musica nella
liturgia perché di fatto le assemblee, almeno in Italia, non sono
capaci di cantare. L'insufficiente cultura musicale produce inoltre
un'incoscienza artistica che si esprime nella mancanza di
giudizio critico sui prodotti commercializzati. In altre parole, si
canta poco o niente, e quel che si canta spesso non è consono alla
dignità della celebrazione liturgica.
Per poter programmare un repertorio liturgico-musicale appropriato,
occorre tenere presente due istanze: a) la preparazione musicale
dell'assemblea sotto il profilo tecnico. A questo livello
s'incontrano molte difficoltà perché la ricordata carenza di
educazione musicale non permette l'impiego di canti che superino una
soglia pur minimale di difficoltà. Ciò significa che è
altamente negativo il principio caldeggiato in maniera entusiastica da
alcuni gruppi nell'immediato postconcilio, cioè di far cantare tutto da
tutti. Questo principio comporta necessariamente l'esclusione non
solo delle musiche tradizionali - in primo luogo il canto gregoriano e
la polifonia classica - ma anche di una gran parte della buona musica di
recente produzione. b) Più importante tuttavia è la seconda istanza: nel
programmare un repertorio liturgico, la questione di fondo non è mai in
primo luogo di ordine musicale, bensì riguarda la vita di fede.
Nella scelta dei canti non devo domandarmi per prima cosa quale pezzo
l'assemblea esegua volentieri o voglia cantare, ma piuttosto devo
chiedermi quale brano e dal punto di vista testuale e sotto il profilo
musicale possa aiutare l'assemblea liturgica a pregare.
È
evidente che le possibilità di scelta variano in ogni Chiesa locale
e ancora diversa è la scelta del repertorio a seconda che si tratti di
piccoli gruppi omogenei per formazione culturale oppure che ci si trovi
di fronte a una comunità di vaste proporzioni. Mentre nel primo
caso è possibile fare delle scelte mirate che possono prevedere
l'esecuzione di brani di una certa difficoltà tecnica, nell'ultimo caso
si devono affrontare indubbi ostacoli che tuttavia evidenziano diversi
aspetti dell'esperienza spirituale legata alla musica. Se è vero che
chi canta prega due volte - ammesso che si canti la fede e, nella
fede, la lode di Dio per l'edificazione della comunità orante - non
si può negare l'incidenza di questa espressione sonora della vita nello
Spirito in quanti non sono in grado di cantare. Questi ultimi in un
silenzio di adorazione si pongono tuttavia in ascolto della Parola e
l'accolgono nella semplicità del cuore: senza avere la pretesa di
cantare - perché di fatto ne sono incapaci - ma con l'ansia di non
lasciarsi sfuggire nulla di quanto lo Spirito oggi detta alla Chiesa
attraverso la voce dell'angelo, cioè del cantore che proclama la parola
di Dio.
L'essere-preghiera costituisce l'unico parametro valido per giudicare
l'autenticità della musica nella liturgia: un'esperienza di fede
illuminata dalla gioia estetica che scuote le fibre più profonde
dell'esistenza.
....
Alla luce di quanto si è detto, la situazione della musica nella
liturgia appare oggi in Italia assai precaria. Due serie di
condizioni negative incidono fortemente.
a) In primo luogo l'infimo livello di cultura musicale a cui è stato
condannato il popolo italiano dalla dissennata politica statale con
la mancata e insufficiente formazione scolastica. A questo panorama
triste si aggiunge la diffusione caotica di suoni e di rumori che
impediscono la formazione nei bambini della lingua musicale materna: la
struttura fondamentale della coscienza musicale, un chiaro rapporto tra
i suoni (note) in un preciso e articolato sistema (strutture modali e/o
scale tonali). Il risultato è evidente: la massima parte dei bambini,
ragazzi e giovani italiani non riesce più a cantare. Non si può dire
che siano stonati perché di fatto sono amusicali: emettono lamenti
animaleschi, non suoni. Si aggiunga la popolarità di «cantanti»
realmente stonati e sgradevoli che sono presi come modello di
riferimento: la catastrofe sembra inevitabile.
In realtà il risultato
finale di tutta questa serie difatti negativi è che la musica è
qualcosa di estraneo, non è più il linguaggio quotidiano per esprimere
le emozioni profonde. Fino a pochi decenni or sono era possibile sentire
cantare - al limite fischiare - per le strade, nelle botteghe
artigianali. In riferimento alla liturgia la domanda di fondo risulta
disperata: una persona - cioè la quasi totalità di quanti
costituiscono le assemblee liturgiche - che non canta mai, che non
esprime mai con il canto la propria gioia e il proprio dramma sofferto
nell'intimo del cuore, come potrà pregare cantando. Come potrà
esprimere la propria fede con un linguaggio sconosciuto e totalmente
estraneo, come se le fosse imposto di «recitare» le preghiere in
cinese o in arabo? Si assiste cioè impotenti a un appiattimento
barbarico della società dove si lascia che tutti i valori spirituali e
culturali siano distrutti da mille consumismi alienanti, dove la persona
scompare inghiottita dal deserto del vuoto che lascia indifferenti,
senz'anima, dove ciò che riesce a fare ancora presa è soltanto il
miraggio della droga e del mondo spettrale che essa sa alimentare.
Certo, questa prospettiva è un caso limite, purtroppo relativamente
diffuso specie nel mondo giovanile, ma fiorisce e si diffonde sull'onda
di una diffusa insensibilità che oscilla tra l'amoralità e l'amusicalità.
Distrutta la poesia che c'è nella persona umana, rimane solo un animale
selvaggio in balia dei burattinai di turno.
b)
A questa situazione oltremodo penosa che si riflette sullo squallore di
tante, troppe celebrazioni, si aggiunge la mancanza di sensibilità
dei pastori. Sembra a volte che si possa applicare a vescovi e preti
ciò che Abraham Joshua Heschel diceva di rabbini statunitensi: si
preoccupano di riempire le sinagoghe (= chiese) di fedeli, ma non
pensano a riempire il cuore delle persone con l'unico nutrimento che
sostenta nella vita: la Parola di Dio. Se si osservano tante Messe
domenicali ci si accorge che molte «intenzioni» si sovrappongono e
ipotecano la partecipazione dei fedeli; si tratta spesso di «intenzioni»
nobili quali possono essere gli interventi di solidarietà. Purtroppo
non ci si accorge che si finisce per distrarre il popolo di Dio
dall'ascolto della sua Parola dimenticando che chi l'ascolta diventa
anche facitore della Parola e sacramento del Verbo, mentre tante
iniziative sociali e culturali possono risolversi in meri atteggiamenti
di aggregazione e di sintonia psicologica senza un reale atto di fede.
Si ha pertanto l'impressione che la Messa domenicale serva talora a
tanti scopi fuorché alla costruzione della comunità di fede. La
deficitaria attenzione al problema musicale è strettamente correlata
alla sottovalutazione della centralità della Parola di Dio che, sola,
fa divampare il fuoco della carità, accende la speranza e vivifica la
fede. Nella misura in cui prevale l'efficientismo umano che tutto
confida nelle strategie persuasive che si fondano sulle scienze umane, si
assiste alla corsa verso mezzi ritenuti «efficaci», di gusto «popolare»,
che abbiano facile presa. Non c'è da meravigliarsi allora di
entrare in chiese rumorose ridotte a discoteche o, al contrario, in
obitori affollati da persone musone e annoiate in un silenzio glaciale.
Casi estremi, che vanno da tante Messe dei giovani a quelle frequentate
da soli adulti, riflettono la mancanza di una seria pastorale che si
fondi su un'assidua catechesi biblica e liturgica mirata a spezzare il
pane della Parola per rendere i cuori accoglienti del Pane di vita
eucaristico, nella piena disponibilità a farsi carico dei fratelli e
delle sorelle più poveri e sfortunati.
La preoccupazione primaria nei confronti della Parola renderà i pastori
attenti a quei linguaggi che la possono meglio mediare in modo tale che
Dio possa far giungere la propria voce al cuore dei suoi figli e che
questi ultimi abbiano i mezzi più adeguati ad alzare al Padre dei cieli
il proprio cuore. La storia della musica liturgica di circa 4000 anni,
dalle prime esperienze di Israele a oggi, mostra l'importanza della
musica quale mezzo pedagogico e strumento di comunicazione che
permette di esprimere la totalità di sé in quei momenti nei quali la
semplice parola parlata ammutolisce.
A fronte di una situazione precaria che si avvicina all'abisso della
disperazione, è necessario promuovere con tutte le forze e con ogni
sforzo possibile ogni iniziativa che permetta di ricuperare la
dimensione poetica e musicale della persona umana. Occorre un largo
movimento di opinione pubblica che scuota dal torpore le autorità
civili affinché intervengano a livello scolastico, dagli asili alle
università e ai conservatori. Nella Chiesa è necessario
ricostituire le scuole diocesane e zonali di musica sacra con un serio
impegno di formazione - cioè un impegno faticoso e costante, lungo
nel tempo - di quanti possono assumersi la responsabilità di aiutare la
comunità orante sapendo che per cantori e strumentisti vale ancora oggi
la formula espressa dalla Chiesa molti secoli or sono: «Sforzati di
cantare con le labbra ciò che nel cuore vivi nella fede e traduci canto
e fede in carità operosa». Occorre cioè bandire soluzioni facili e
immediate solleticate da una vana demagogia, mentre urge costruire tutto
dalle fondamenta, a partire da una formazione biblico-liturgica sino
all'istruzione tecnica musicale a servizio della liturgia, facendo
comprendere che tutto ha senso se si svolge in un clima orante: di
ascolto della Parola per trasmetterla alle comunità, di ascolto di
queste ultime per esprimere con la musica a Dio la preghiera della
Chiesa.
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