Il Coro - Saggistica, di Antonio Cericola - © Ars Musica                                      >>> Articoli - Saggi

Proponiamo un riassunto del saggio del M° Cericola, compositore, direttore e didatta

Il coro
Stando alla definizione di un comune dizionario di lingua italiana, il termine coro indica un canto eseguito da più persone, a più voci o all’unisono, con o senza accompagnamento musicale; lo stesso termine, però, sta anche ad indicare l’insieme dei cantori che esegue il canto, come pure quella parte della chiesa separata da recinzioni e provvista di stalli, riservata ai cantori, situata nella parte terminale della navata centrale; nell’antica Grecia, infine, coro stava ad indicare il canto che accompagnava la danza e il luogo dove si danzava.
La distribuzione dei cantori e il modo di cantare degli stessi, fanno sì che il termine coro assuma diversi attributi. Quando cantano uomini e donne insieme il coro si dice a voci miste o dispari o inaequales; se la massa corale è dello stesso sesso il coro è a voci pari o aequales. quando il coro è costituito da voci di fanciulli o solo femminili, assume la denominazione di coro a voci bianche. Un coro che canta senza accompagnamento strumentale è detto coro a cappella o alla romana o alla Palestrina; se accompagnato da strumenti musicali coro concertante.
Quando tutti cantano la stessa parte all’unisono o all’ottava il coro si definisce monodico; se l’andamento delle singole parti costituenti la composizione è in contrappunto, vale a dire che le varie voci non cantano le stesse parole dell’unico testo ma usano imitazioni e valori differenti, si ha il cosiddetto coro polifonico; la parola polifonia significa “molti suoni” e viene usata per indicare quelle forme musicali in cui due o più linee melodiche vengono eseguite nello stesso momento. Il coro è polifonico quando viene diviso in più sezioni, a seconda delle diverse estensioni vocali, e ogni sezione canta una melodia diversa da quella degli altri. Quando una parte, generalmente il soprano, ha la melodia principale, mentre le restanti voci procedono parallelamente ad essa integrandola solo dal punto di vista armonico, si ha il coro isoritmico o omoritmico.
A seconda del numero dei cantori, un coro si definisce grande (da 80 - 100 elementi in poi), medio (40 - 70 elementi) o piccolo (a partire da 2 o 3 voci per parte fino a 5 o 6 cantori per parte). Anticamente già si riteneva mastodontico un coro di 60 - 80 voci. A Roma, ad esempio, le cappelle del Vaticano che cantavano musiche di Palestrina, erano costituite da 18 cantori per i giorni ordinari e da 32 per le solennità liturgiche. Da quanto detto, risulta evidente che il criterio numerico varia in relazione alle epoche storiche ed alle mode. Attualmente vengono sempre più valorizzati i complessi con poche voci, generalmente 2 o 3 per parte con il proposito di storicizzare le esecuzioni di alcune musiche del periodo rinascimentale proponendole più come espressioni cameristiche che corali; in questi casi siamo dinanzi ai cosiddetti gruppi madrigalistici. L’organico di un coro viene suddiviso in sezioni corrispondenti a differenti tipi di voci: solitamente un coro che canta a quattro voci dispari viene suddiviso in soprani, contralti o alti, tenori e bassi. Ricordi comunque il cantore che nessuna voce deve emergere dal complesso, ma tutte devono apportare il proprio contributo al risultato d’assieme.

Respiro
Il termine respiro significa o il momento in cui si prende fiato o la virgoletta posta sopra il pentagramma che indica al cantore il momento in cui prendere fiato. Lo stesso termine indica, tuttavia, anche ad un particolare importantissimo del fraseggio musicale che ogni buon esecutore e direttore ben conosce.
Nella musica vocale il respiro equivale al cambiamento d’arcata dei violini o allo stacco della mano dalla tastiera dei pianisti. Il respiro, quindi, è in stretto rapporto con il cosiddetto fraseggio e non sempre il segno della legatura riesce ad assolvere a questo delicato compito; nella polifonia classica gli autori non scrivevano indicazioni di questo genere, tocca, quindi, al maestro del coro, oggi, decidere quando e come si deve passare da un suono all’altro, da una parola all’altra senza interrompere la respirazione, quando e dove testo e carattere della musica suggeriscono il legato o lo staccato.
Buona norma generale, a cui generalmente ci si attiene, è quella di non contrastare la giusta declamazione del testo, e di non spezzare la parola con il respiro, ma di far coincidere questo con i segni di interpunzione e con i punti del testo che si avvantaggiano di un’interruzione per essere meglio compresi. Qualsiasi respiro, quindi, non deve mai interrompere le parole o un vocalizzo; nei casi rarissimi in cui ciò dovesse risultare impossibile, si ricorra al respiro rubato che deve essere velocissimo e silenzioso. Quando è possibile, è preferibile dividere i cantori della classe che non riesce ad eseguire tutta la frase senza spezzarne il disegno, in due o più gruppi che respireranno in punti diversi, in modo da mascherare la discontinuità della legatura. Molti coristi si distraggono durante le pause e non sono perfettamente pronti col respiro all’entrata successiva; inutile far notare quanto sia nocivo simile atteggiamento. Ricordi il cantore di non lasciare all’improvvisazione nessun respiro, ma di seguire scrupolosamente solo quelli indicati sulla parte; qualora questi dovessero mancare, è indispensabile chiedere al Maestro dove inserire i respiri. Lo studio dei respiri è basilare poiché, oltre a favorire il risultato della logica successione delle parti del discorso musicale, facilita il compito all’esecutore evitandogli inutili dispendi di fiato o situazioni in cui dovesse trovarsene addirittura sprovveduto.

Interpretazione e gesto
Il direttore di coro guida i cantori nell’esecuzione di una composizione secondo l’interpretazione da lui studiata e proposta. L’interpretazione è uno dei principali compiti del direttore. Interpretare una composizione vuol dire ricreare il pensiero dell’autore con la maggiore fedeltà possibile al suo spirito. L’interpretazione è sempre preparata con accuratezza attraverso uno studio analitico della composizione in tutte le sue parti dopo aver preso conoscenza dell’autore, del suo stile, del genere e dello scopo della composizione.
La funzione del direttore - durante l’esecuzione - viene svolta principalmente attraverso il gesto che indica l’attacco, il ritmo, il fraseggio, la dinamica, l’andamento, gli accenti, lo stacco, e tutto quel che si richiede ad una dignitosa esecuzione. Il gesto, quindi, non è fine a se stesso, come la quasi totalità degli ignoranti crede, ma esprime quanto sopra esposto in modo preciso e inequivocabile all’esecutore che non appartenesse alla suddetta categoria. Mentre la mano destra assolve principalmente il compito ritmico, la sinistra sostiene quello espressivo: dinamica, sfumature, preavvertimenti, ecc.
La direzione senza bacchetta incontra il favore dei migliori direttori di coro per il fatto che lascia maggiore libertà nella varietà del gesto ed è per questo motivo più facilmente comunicativa. Il gesto di attacco viene diviso in due fasi di cui la prima è di attesa, mentre l’altra di attacco vero e proprio. La prima fase è generalmente preceduta da uno sguardo rivolto ai cantori per richiamare la loro attenzione, successivamente il direttore porta le mani o la sola mano destra all’altezza del suo viso; prima dell’attacco del pezzo il direttore respira assieme ai suoi cantori come se dovesse iniziare a cantare con essi. L’immissione di fiato è contemporanea all’alzarsi della mano del direttore; quando la mano sarà tornata nella posizione originaria si ha l’attacco vero e proprio. Questo vale per gli attacchi tetici o in battere, mentre per gli attacchi in levare è opportuno studiare di volta in volta il miglior gesto. Il crescendo viene indicato ampliando il gesto estendendo il braccio, contrariamente si indica il diminuendo; il legato si indica con morbidi movimenti mentre lo staccato implica rapidi scatti ottenuti con opportuna elasticità del polso.
Quanto esposto è abbastanza generico, in quanto il gesto del direttore resterà sempre un fatto soggettivo ed empirico; il cantore intelligente farà tesoro dei consigli del suo direttore in sede di prove onde evitare possibili fraintendimenti circa la sua direzione. Alla bravura del direttore deve far riscontro la prontezza degli esecutori nel tradurre artisticamente i suoi gesti.


Agocica e dinamica
L’agogica (dal verbo latino ago = conduco) è l’insieme delle leggere oscillazioni di tempo nel discorso musicale volute dall’espressione e dall’interpretazione. All’agogica appartengono i termini rallentando, accelerando, stringendo, allargando, ecc.; va sottolineata la soggettività di questo settore per cui se l’interprete solista è libero di interpretare secondo il proprio gusto le suddette indicazioni agogiche, il cantore, come del resto tutti gli esecutori di musica d’insieme, deve sottostare all’interpretazione prefissata dal direttore, unico garante dell’indispensabile uniformità esecutiva.
La dinamica (dal greco dynamis = forza) invece, è l’aspetto che riguarda l’intensità del suono, indipendentemente dall’accentuazione ritmica. Segni dinamici sono quelli che regolano tutte le gradazioni di intensità, dal pianissimo estremo ppp al pianissimo pp al mezzopiano mp al mezzoforte mf, al forte f al fortissimo ff e alla massima gradazione di intensità fff. Tra i segni dinamici vanno incluse anche le loro trasformazioni, come il crescendo, il diminuendo (segnati rispettivamente cres. e dim. o con le caratteristiche forcelle). Il valore di tali segni è relativo al contesto musicale in cui si trovano e non è mai determinabile con assoluta precisione. E’ curioso notare come dilettanti e cattivi esecutori accelerino nei crescendo e rallentino nei diminuendo: si guardi il cantore da questa deplorevole abitudine tenendo bene a mente che la dinamica (in questo caso crescendo e diminuendo) non va assolutamente confusa con l’agogica (accelerando, rallentando); anzi sovente il crescendo per essere più efficace si accompagna con un allargamento di andamento.

L’andamento
Per andamento si intende la velocità di esecuzione di un brano musicale; esso deve essere elastico per permettere la migliore espressione del testo e per animare il discorso sonoro con spontanea scioltezza. Le composizioni relativamente recenti portano quasi sempre l’indicazione metronomica; occorre però osservare che in ogni caso l’indicazione di andamento è alquanto generica in quanto il significato delle parole fissato per tradizione a designare i movimenti, muta a seconda delle epoche e degli autori, oltre a prestarsi alle più svariate interpretazioni di ordine soggettivo. Bach, ad esempio, indicava assai raramente l’andamento delle sue musiche, ritenendo che l’interprete dovesse intuirlo da sé; Haydn e Mozart si limitavano il più delle volte a scrivere semplicemente allegro, andante, adagio. L’indicazione di andamento deve ritenersi in ogni caso elastica in quanto, cause e particolari circostanze, possono consigliare opportune modifiche; a volte l’acustica di un ambiente eccessivamente risonante consiglia, ad esempio, di rallentare tutti i passi polifonici, onde permettere una nitida percezione di suoni, mentre un passo particolarmente faticoso per tessitura o intensità di suono, sarà più agevolmente eseguito se accelerato. Non vi è brano lento in cui non occorra accelerare qualche battuta per evitare l’impressione di pesantezza, come non vi è brano veloce in cui non si debba allargare il movimento per consentire una più espressiva interpretazione. L’elasticità di andamento, comunque, non esclude affatto la rigorosa quadratura ritmica: questa rimane sempre la base statica sulla quale i buoni interpreti e i direttori erigono la loro costruzione sonora.

Il colorito
Il colorito consiste nel dosare opportunamente le intensità di suono, variandole in modo che il significato del discorso musicale risulti sottolineato in maniera evidente ed espressiva. L’arte del colorito non può essere determinata in modo assoluto sul testo musicale per cui la sua realizzazione resta affidata principalmente all’intelligenza e alla sensibilità dell’interprete. Dopo aver determinato l’ordine di importanza delle diverse parti, il direttore affida a ciascuna frase il proprio colorito: è in questa preziosa fase di studio che l’interprete intelligente farà tesoro delle delucidazioni e dell’interpretazione date dal Maestro in sede di prove. I crescendo, i diminuendo e gli accenti devono essere proporzionati al contesto generale di quel che si sta cantando; il crescendo di un brano forte deve essere particolarmente robusto per riuscire efficace, in un pezzo dolce, affinché non risulti volgare, il crescendo dovrà essere assai più modesto.

Disposizione del coro
Non esiste uno schema fisso e valido per ogni circostanza circa la disposizione delle voci di un coro. I cantori debbono comunque essere vicini gli uni agli altri per evitare dispersioni ed isolamenti nocivi, ma devono avere sempre lo spazio sufficiente per respirare bene, per cantare liberamente, senza rinunciare ad ascoltare le voci dei cantori vicini, non solo quelle della propria sezione, anche delle altre. Questo è delle massima importanza perché consente maggior amalgama delle voci, massima intonazione e miglior interpretazione del sottile intreccio delle parti nel gioco contrappuntistico.
Ciascun cantore deve cercare di vedere con estrema chiarezza il direttore; a tal fine deve aver imparato a memoria tutte le parti, sia nella musica che nel testo. Durante un concerto, la partitura deve servire al cantore solo ed unicamente per consentire alle mani un atteggiamento composto e disinvolto, oltre che per procurargli una certa sicurezza di ordine psicologico. Il cantore che durante l’esecuzione guarda la parte, oltre a non essere pronto alle sollecitazioni del Maestro, conseguendo un pessimo risultato interpretativo, manda la voce verso i suoi piedi anziché verso gli ascoltatori.
Abitualmente i nuovi cantori di un coro sono molto timidi e non osano quasi aprir bocca; è bene che si affianchino ad elementi di consumata esperienza che potranno presto maturarli. E’ nocivo per i nuovi elementi fare comunella tra loro stando vicini; è da evitare pure che si pongano in posizioni nascoste, come per lo più desidererebbero. Occorre che siano ben in vista e nelle postazioni più esposte allo sguardo del Maestro.
La prova generale è della massima importanza, tale da rendere intollerabili assenze o ritardi. Essa deve aver luogo nell’ambiente in cui deve tenersi l’esecuzione. I migliori esecutori e direttori si innervosiscono o addirittura infuriano se le condizioni ambientali contrastano o mutano l’espansione del suono e le condizioni acustiche non consentono l’ascolto reciproco dei cantori. Deve essere studiato a tavolino e provato anche l’ingresso e l’uscita del coro. L’impressione visiva è la prima che il pubblico riceverà e non è da sottovalutare: nessuna confusione nell’entrare e nessun chiacchierio o commento nell’uscire o dopo il concerto; i panni sporchi si lavano in famiglia per cui sarà il direttore a fare le dovute osservazioni, positive o negative che siano, in sede di prove, lontano da orecchi indiscreti e malelingue.

Attacco e stacco
L’attacco, ossia il momento in cui il coro inizia a cantare, è della massima importanza, pertanto richiede massima concentrazione da parte di tutto il coro oltre che del direttore. Il cantore si abitui ad afferrare subito in sede di prove la nota suggerita a voce dal Maestro o da uno strumento. Quando è il direttore a dare la nota, canta la prima sillaba del testo. Questo momento è di fondamentale importanza: sottovalutarlo mostrandosi distratti può compromettere irrimediabilmente l’esito dell’attacco o dell’intonazione dell’intera composizione. Se la composizione prevede un attacco non contemporaneo delle voci, il direttore darà la nota solo alla voce che entrerà prima delle altre; in tal caso i cantori devono prendere la nota in relazione a quelle che precedono l’attacco. Quando si hanno composizioni per coro concertante il cantore deve memorizzare le introduzioni come pure gli intermezzi per prendere bene la nota d’attacco, evitando di distrarsi o peggio ancora chiacchierare con i compagni di sezione, specialmente durante le prove. L’attacco deve essere preciso, esatto nell’intonazione, nell’intensità e nel ritmo. Tutti devono attaccare senza incertezza: la deficienza su questo punto dà un senso di pesantezza a tutto l’assieme e rende mediocre ogni frase poiché il ritmo riesce comprensibile solo dopo qualche battuta. Da evitare assolutamente, inoltre, è la deprecabile abitudine di aspettare che siano gli altri ad attaccare per poi inserirsi con discrezione.
Nell’istante dello stacco della nota finale, alcuni coristi danno un accento, mentre altri diminuiscono progressivamente l’intensità dell’ultima nota: in entrambi i casi si sbaglia perché l’ultima nota deve essere tenuta con la stessa intensità dal principio alla fine e poi staccata senza sforzo da tutti e con un bel sincronismo, a meno che i segni di dinamica non prescrivano altra interpretazione.

Il cantore
Molti sono i motivi che possono aver spinto un individuo a far parte di un coro, divenendo così cantore. Tuttavia, ci limiteremo ad individuarne i più comuni onde permettere una buona introspezione psicologica al singolo cantore e suggerirgli gli opportuni rimedi ( là dove unico rimedio non sia quello della radiazione dal coro effettuata per conto del Maestro).

- Sincero amore per l’arte, particolarmente quella canora: questa categoria, ci dispiace ammetterlo, è senz’altro una delle meno numerose poiché la sensibilità artistica, essendo il più delle volte direttamente proporzionale al livello culturale del singolo, è un fenomeno sempre più raro, specialmente tra i più giovani. Tuttavia, solo chi è mosso da questa motivazione può riuscire con la dovuta decenza artistica ad affrontare i sacrifici richiesti a qualsiasi interprete di musica vocale (teoria, solfeggio, vocalizzi, dizione, prove…)

- Curiosità: specialmente nei piccoli centri, là dove termini come polifonia, contrappunto, imitazione ecc. suonano nuovi alle orecchie dell’ignorante, il curiosare tra la gente che si occupa di queste stranezze può essere un valido motivo per entrare a far parte del misterioso gruppo. Rimedio consigliato: esaurendosi nell’arco di poche settimane (per non dire pochi giorni) la curiosità iniziale, si consiglia di non procedere al comune iter seguito dai cantori (versamento quota associativa, acquisto cartellina, divisa ecc.), onde risparmiare spese che si riveleranno ben presto inutili essendo per gli appartenenti a questa categoria assai prossima la radiazione dal coro.

- Scemenza: poiché, statisticamente parlando, è mostruosamente alta la percentuale di scemi, non si meravigli il lettore di rilevarne più di uno all’interno di un coro. L’aspazialità, quale aspetto caratteristico dello scemo, ci aiuterà nella comprensione di quanto segue. Il soggetto in questione rimane sempre tale a prescindere dalla sua posizione geografica: se così non fosse, gli scemi, trasferendosi in altre città, regioni o nazioni, diverrebbero persone intelligenti… evento non verificabile neanche se proiettati nello spazio o sulla luna. Orbene, essendo lo scemo suscettibile delle più svariate ubicazioni (altrimenti dovrebbe starsene segregato in casa) e, dovendo egli stesso necessariamente fare qualcosa (poiché si alza la mattina e nell’arco della giornata qualcosa deve pur fare) ed essere presente in un punto del nostro pianeta, nulla toglie che possa essere desideroso di far parte di un coro con la sua presenza fisica. Per farla breve ed accingermi alla necessaria conclusione, dirò che questo tipo di soggetto non è scemo perché canta nel coro, ma canta nel coro appunto perché è scemo (non ridere a sproposito: se non hai colto il senso dell’ultimo assunto, potresti anche tu appartenere a quest’ultima categoria!). Rimedio consigliato: radiazione.

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